Secondo la teoria darwiniana, le forze evolutive perpetuavano le variazioni della specie fornendo ciò che Darwin chiamava un “vantaggio selettivo”, cioè un beneficio alla pianta o all’animale che permetteva di produrre una progenie più numerosa ri- spetto ad un organismo in competizione sprovvisto di tale variazione. Questa teoria, nota come “discendenza con modificazioni”, elaborata anche attraverso un’analogia con la selezione artificiale nella coltivazione delle piante e nell’allevamento degli animali, fu successivamente ridimensionata ed il neodarwinismo negò la trasmissio- ne ereditaria dei caratteri acquisiti per azioni ambientali. Anche tra coloro che alla fine accettarono la nozione di “trasmutazione” – il termine allora usato per indicare ciò che oggi chiamiamo evoluzione – era fervido il dibattito riguardo a quali specie cambiassero gradualmente e quali invece improvvisamente, come le caratteristiche adattative venissero trasmesse nel corso delle generazioni e secondo quali meccanismi agisse la selezione naturale.

Un altro naturalista inglese, Alfred Russel Wallace (1823-1913) ebbe l’intuizione della variazione della specie e del concetto di lotta per l’esistenza, descrivendo in due brevi saggi pubblicati nel 1855 e nel 1858 i meccanismi alla base dell’evoluzione Wallace affermò che gli individui meglio adattati ad un particolare ambiente, di necessità ottengono e mantengono una superiorità nella popolazione.

Nel 1858, due articoli, uno di Darwin e uno di Wallace, furono pubblicati a Londra nel Journal of the Proceedings of the Linnean Society, ma non ebbero grande seguito. Solo dopo l’uscita del libro di Darwin, che diede inizio ad un fervore di discussioni e ricerche che si protrassero per oltre un secolo, vennero tratte dall’oblio, per opera soprattutto dello zoologo tedesco Ernst Haeckel (1834-1919), le teorie del suo massimo precursore e antagonista, Lamarck. Da questo momento, le opinioni dei biologi circa le cause dell’evoluzione si divisero fra le due tendenze principali, a cui venne dato il nome, rispettivamente, di neodarwinismo e di neolamarckismo. I neodarwinisti, con a capo il biologo tedesco August Weismann (1834-1914), il massimo teorico dell’ere- dità, sostenevano che le variazioni ereditarie su cui agisce la selezione derivano tutte da cause interne e che l’ambiente esterno non ha alcuna influenza nel determinarle. I neolamarckisti, invece, credevano che l’azione dei fattori dell’ambiente, capace di modificare le caratteristiche morfologiche cioè il soma degli organismi, potesse far sentire la sua influenza sul germe, determinando variazioni ereditarie. La separazione fra soma e germe costituisce, tra l’altro, il concetto più importante stabilito da Wei- smann, che sotto questo punto di vista costituisce il più acuto e perspicace precursore della genetica.


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